sabato 29 dicembre 2012

le idi di una scrivente in crisi


 Titolo assolutamente privo di senso e significato, ma, cavolo, bisogna dire che fa figo! Il testo non è da meno, ma mi pareva carino.

1) : L'idea prende forma, si concretizza man mano. I personaggi, i posti, la trama, viene fuori da sola, non sei tu che la inventi, ha preso il controllo di se stessa e vuole che nessuno può più fermarla!! Ti prende, ti incista...

2) : Primo capitolo. Trauma. Cosa scrivere? Come iniziare? Questo è uno dei tanti "shockkanti shock" che tu possa vivere da scrivente. E' uno dei momenti in cui provi a mettere giù qualcosa, ma cancelli tutto a prescindere per ricominciare da capo e diversamente. Ciclo vizioso che come minimo dura per 2 mesi della propria inutile esistenza.

3) : Sei nel bel mezzo della creazione di un pezzo caliente. No, cruciale. Nemmeno cruciale, superstramega importante quando...
- Luiginoooooooo!!!!!! Vieni a stendere i pani, pulire camera tua, sparecchiare la tavola, mettere a posto la legna, Fare il giro del Mondo in triciclo, dare da mangiare alle lumache domestiche, ecc..
Questi sono i pochi momenti in cui la tua parte William-Wallacesca esce per ribellarsi una volta per tutte alle pressioni delle tiranne madri...
- No, mamma ho da fare una cosa importante!
- Se non vieni ti cancello tutto!
- Ok, mamma... ( spegni il computer con faccia rassegnata)
Mission "Libertàààààà" failed, try later again.

4) : Shock da pagina bianca. Cosa normale ti dicono, ma si è presi dal panico più assoluto. Passa mezz'ora, niente. Un'ora niente. due, niente ancora.
Spegni tutto, depresso e incavolato. Di sera, sul divano a vedere Star Wars VI, illuminazione divina!
-TROVATOOO!!!!
Ti alzi e corri spasmodicamente al computer. La famiglia non ci fa caso, oramai è abituata a cose del genere. Inizi a scrivere tutto ciò che ti viene in mente, e finalmente ti rendi conto che sei arrivato a scrivere praticamente 3 capitoli.

5) : La fase del punto 4 dura poco. Perché? (musica truce horror..) Viene un altro blocco dello scrittore. Scoraggiato, cerci una morte rapida ed indolore, tu non sai come io sia afflitta in questi periodi!

6) : Arrivano i problemi di trama. Quali? Allora, sarà capitato a tutti di avere idee geniali, ma non sapendo come o dove o perché metterle. Facendo degli esempi ecco qualche traccia idea:
-Ridge doveva stare con Brooke.
-Brooke ama Anastasia.
- Arriva Tom Cruise.
-Mel Gibson e Tom Cruise fanno una rissa del genere “perhè-lo-stiamo-facendo?.”
 -Ridge sparisce con Anastasia, sotto acidi ovviamente.
-Spiderman vuole un twinky.
Una prima cosa che tutti fanno. Sì, anche TU l’hai fatto! E cosa sarebbe? Fare ”ambarabbaciccì-coccò” tra le tracce a caso. Esce fuori una cosa del tipo:

Arriva Tom C. e picchia Brooke, perché sta con Anastasia. Ridge si fa di acidi mentre si picchia con Mel Gibson. Spiderman vuole ancora il suo twinky.

7) : La fine. La traumatica fine. La fatidica fine. La fantomatica scritta F-I-N-E che sembra irraggiungibile e senza..fine.  provi e riprovi, invano, finchè l’ispirazione non viene dall’alto: ti cade un ragno nei capelli. ACH! No, seriamente un ragno ha appena sceso un muro vicino a me. Tenerello, era nero e piccolino! Coff-Coff!  Ritornando seri. L’ispirazione è arivata dall’alto: Spiderman m,angia il suo dannato twinky. Francamente non so nemmeno cosa sia un Twinky, ma suonava bene! Ecco, anche usare parole mai utilizzate prima è una cosa rischiosa, tipo : Meschino, balordo, malfattore, pendaglio da forca, accingersi,  ecc. ( le ho provate sulla mia pelle).

8) : Scegliere un titolo decente. Non ce la farai mai, tutti quelli più fighi che spaccano li hanno già ciulati tutti! E cerchi assolutamente di non mettere una cosa tipo: Tizio’s story, Le Cronache di Tizio, Le avventure di capitano Tizio, Tizio 1, Tizio 2 la vendetta, Trappola nei Ghiacci, Trappola nel Fuoco, Trappola nella Trappola.
Ti ridurrai a sceglierne uno tra questi, vedrai! Io mi sto già preparando psicologicamente, fai te! E’ un vicolo cieco che tutti prendono prima o poi. O scavalchi il muro davanti o ti viene una botta di… che si crea una scappatoia. Non succederà nessuna delle due, fidati, non c’è alcuna speranza!  Come disse il buon Dante: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate!”

 Fine.

lunedì 24 dicembre 2012

God saves


25/12/12

Johnatan R. Smith
8 Crossfield Road
Selly Oak
London
England
B29 1WQ

Caro Jo,
credo che questa sarà la più lunga lettera che abbia mai scritto, mi è difficile mettere qui tutto ciò che devo dirti, ma ci proverò.
Non scorderò mai quando ti vidi per la prima volta, in quel maledetto locale, pieno di gente schifosa. Avevi già i capelli un po’ bianchi, sebbene fossi molto giovane, indossavi il tuo cappotto marrone chiaro ed il cappello nero che metti sempre.
Quando la serata era finita, mi toccasti una spalla e mi facesti una domanda che mi lasciò di stucco.
 -Ha bisogno di aiuto, signorina?
Sapevo che non eri un cliente, passavi di lì per caso, vedendo che avevo bisogno di aiuto. Rido ancora al pensiero di averti mandato via in malo modo ignorandoti.
Quando arrivai a casa, sentii dei sassolini che colpivano la mia finestra, eri ancora tu.
-Ma sei stupido? Ti farai ammazzare! Vattene! I vicini sono gente brutta!
-Voglio solo parlare!
Chiusi la finestra sbattendola e tirando le tende.
Quella sera ti avevo trattato male, volevo stare da sola, con i miei problemi. Non trovavo una ragione per cui eri così insistente, ma ero certa che le tue intenzioni non fossero cattive.
Dopo giorni che provavi a parlarmi, te lo concessi, così che mi avresti lasciata in pace.
Ci incontrammo in un piano bar ed ordinammo qualcosa di caldo.
-Quanti anni hai?
-Che te ne frega?
-Ok, ok. Partiamo dall’inizio: mi chiamo Johnatan, Johnatan Smith ed ho ventisei anni.
Con riluttanza ti dissi come mi chiamavo e quanto anni avevo.
-Io sono Elly, sedici.
Credevo che tu fossi uno scocciatore invadente, invece trovavo un piacere immenso a stare con te, benché ti avevo conosciuto da qualche giorno.
Ricorderò per sempre ciò che tu feci per me.
Ti dissi che non pagavo l’affitto da mesi, ero rimasta senza soldi da quando mi rifiutavo di lavorare in quello squallido locale, perché stavo  riflettendo sulle tue parole  quando mi dicesti  che quel che facevo era sbagliato e irrispettoso nei miei confronti. Mi avevi parlato a proposito di Gesù, ma non comprendevo assolutamente cosa mi dicevi. Afferravo qualcosa sulla vita di questo uomo perfetto senza peccato e mi sorgevano delle domande. Io sapevo che il mio mestiere era un peccato.
 Fare la prostituta era peccato.
Quella sera i papponi del locale stavano per mettermi le mani addosso, quando tu intervenisti. Ti prendesti un pugno che avrei dovuto ricevere io e mi portasti via da lì.
-Inutile che mi porti a casa, sanno dove abito, a volte porto il lavoro a casa!
-Perfetto, allora verrai a vivere da me.
Quando me lo dicesti  ero rimasta di sasso ed ero stupita dalla tua gentilezza. Capii che un nuovo capitolo per la mia vita si stava per aprire ed in meglio.
Amai subito vivere in casa tua; era calda, accogliente ed avevo la sensazione che niente di cattivo sarebbe potuto entrare da quella porta in legno mi sentivo protetta.
L’immagine permanente che ho di quel posto è la sua porta d’ entrata, con inciso su una scritta: Gv 3:16.
"Poichè Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito, affinchè chiunque creda in lui non perisca, ma abbia vita eterna."
Mi spiegasti cosa significava e quella fu la prima volta che toccai una Bibbia, di pelle nera, con le pagine argentate.
Mi facesti  un discorso sul significato di quel versetto e  ti dico sinceramente che sentii il mio cuore battere più forte. Sentivo una voglia irrefrenabile di imparare e conoscere più Dio. Ricordo bene che quando ti feci mille o più domande sulla “salvezza”, tu mi risposi semplicemente.
-Per avere la salvezza per entrare nel regno dei cieli è molto semplice: riconosci di essere un peccatore e chiedi a Gesù di entrare nella tua vita, riconosci che LUI è morto per te sulla croce, per i TUOI peccati. Chiedigli scusa per ciò che hai fatto di male, lui ha preso la TUA COLPA SU DI SE' E perdona tutto, ma devi essere sincera.
Piansi, un misto fra gioia, pentimento, dolore.
Pregasti per me, chiedendo a Dio di darmi le forze per aver fede, che io riesca a capire cosa lui vuole per la mia vita, poi chiudesti con un solenne “Amen”.
Mi tenevi la mano saldamente, per incoraggiarmi. Pregai anche io, era la prima volta che parlavo direttamente con Dio. Avevi gli occhi chiusi ed ogni tanto mormoravi un “Amen” alle mie parole tremolanti accompagnate da singhiozzi.
-Grazie, grazie Signore che hai messo Jo sulla mia strada, senza lui non sarei qui davanti a te, umilmente ti chiedo scusa. Perdona i miei sbagli! Riconosco che sei morto per me, entra nella mia vita. Amen.
Dopo quelle parole sentii il mio cuore scoppiare di felicità e ti abbracciai forte ringraziandoti con tutto il cuore.
Quando mi portasti per la prima volta in chiesa, mi presentasti a tutti. Le persone mi salutavano sorridenti e cordiali, ero un po’ disorientata dalla loro gentilezza. Il reverendo Brown mi abbracciò dicendomi. ”Dio ti benedica, sorella.”
Mi eri rimasto a fianco tutto il giorno e fui immensamente grata che tu mi portasti in chiesa quel giorno. Era la prima volta che vedevo una gente così sincera.
La comunità mi aiutò a trovare una casa per aiutarmi e tu mi cercasti un lavoro come cameriera in un ristorante. Mi accettarono ed io esplosi di felicità: la mia nuova vita era cominciata, con Dio accanto, la chiesa che mi sostiene, un lavoro pulito.
Non potrò mai scordare come tu mi sia stato vicino nel mio periodo di crisi e la mia nuova vita e te ne sarò eternamente riconoscente.
E’ passato pochissimo tempo, tu lascerai sempre un segno indelebile in me, anche per i tuoi piccoli gesti, come un abbraccio o una carezza, o una parola detta con affetto.
Ho preso un cagnolino: un akita inu tutto bianco, come i tuoi capelli, i quali mi ricordano molto te, con gli occhi teneri e profondi come un cucciolo. L’ho chiamato Mercy, come la grazie che Dio ha avuto con me.
Mio caro Jo, ti ho scritto per ringraziarti e per dirti che il mio miglior regalo di Natale sei stato tu, un uomo mandato da Dio per salvarmi. Che Dio i benedica sempre per sempre,
Tua sorella in Cristo, Elly.

La filastrocca del marinaio e della sirena


Occhi d'oro, capelli d'argento.
Pelle di neve, labbra di sangue.
Seena è il suo nome e l'oceano sua dimora.
Un giovane marinaio le canta dell'amor proprio,
ed il volto di porpora si tinge.

<<Se davvero mi ami veramente,
il cuore di tua madre portami, ancora palpitante!>>
Le porta il vermiglio cuore,
dimostrandole così senza rimpianti l'amore.

Occhi d'oro, capelli d'argento.
Pelle di neve, labbra di sangue.
Seena è il suo nome e l'oceano sua dimora.
Un giovane marinaio le canta dell'amor proprio,
ed il volto di porpora si tinge.

<<Se davvero mi ami veramente,
il tuo sangue voglio veder colare dannatamente!>>
Una lama tagliente prende
e schizza fuori il sangue cupamente lucente.
Sorride malignamente
e la sua bellezza si fa evanescente.

Occhi d'oro, capelli d'argento.
Pelle di neve, labbra di sangue.
Seena è il suo nome e l'oceano sua dimora.
Un giovane marinaio le canta dell'amor proprio,
ed il volto di porpora si tinge.

<<Stolto, ti dico che mai ti ho amato!>>
Lui ride dolcemente,
senza animo di ira adente.
<<Mi hai malamente tradito,
ma sappi che di te son ancor perdutamente innamorato.>>

Occhi innocenti, capelli di pece.
Pelle lacera, labbra sincere.
Marat era il suo nome.
In suo cuor passionale tradito vi
è ora sua dimora.
Di una sirena cantava,
che di consapevole finzione il volto si tingeva.

Mercy


Notte, profonda, accompagna i miei movimenti. Silenzio, amico mio, sii dalla mia parte. Fortuna, sii buona con me. Pioggia, riempimi della tua forza.
Mi sono alle costole, sento il loro respiro affannoso, le urla di incitamento. Si fanno sempre più vicini. Ed io li aspetto. Armo l’arco, tiro il colpo. Il ritmo del mio cuore rallenta, il respiro si blocca. Lascio la freccia.
Arriva dritta nel cuore, le carni si lacerano ed il sangue schizza. Cade a terra già morto. Otto.
Mi lancio con un balzo verso il ramo successivo, un altro dardo scocca dall’arco, in mezzo agli occhi sta volta. Sette.
Sono confusi, non mi hanno individuato, sanno che sono io, ne sono certi.
Il Capitano lancia un fumogeno, per appannarmi la vista.
Sono in cerchio, schiena contro schiena. Uno spazio in mezzo. Sorrido, è troppo semplice così.
Mi calo con una corda in mezzo a loro.
Tiro fuori il pugnale dal fodero, comincia il massacro.
Taglio la giugulare. Sei.
Squarto il ventre. Cinque.
Un colpo al petto, un altro, un altro, un altro ancora. Quattro.
Lancio il pugnale, centro. Tre.
Incrocio le braccia sopra il mio capo, estraggo due frecce. I bulbi sferici volano lasciando una scia rossa e viscida. Urlano e pongo fine alle loro sofferenze. Uno.
Il capitano grida come una femminuccia e mi si prostra davanti ai piedi, aggrappandosi alle ginocchia. Trema.
-T-ti prego, non uccidermi!
Con una ginocchiata lo sbatto via. Estraggo il pugnale dalla sua vittima. Gocciola e pare minaccioso. Inizio a girargli attorno, come un lupo con la preda.
Striscio la lama sulla sua guancia, scende un rivolo di sangue.
Lo butto a terra e mi siedo sul suo petto, quasi togliendogli il respiro.
Piange ed inizia a darmi fastidio la sua vigliaccheria.
-Capitano, certamente vi ricorderete cosa loro urlavano all’esecuzione.
-C-chi!? Cosa?!
Premo la lama sulla spalla, entra nella pelle, lacera e membra. Il sangue schizza fuori dall’arteria e mi macchia la faccia.
-Questo vi ha rinfrescato la memoria?
Geme e guaisce come un cane bastonato.
-Quale esecuzione? Di che parli?
Infuriato lo prendo per il collo e gli sbatto la testa sul terreno.
-Una donna ed un bambino! Capelli rossi, occhi verdi. Innocenti, li avete condannati che erano innocenti!
-N-nascondere ricercati è p-punibile con l’impiccagione!
-Zitto! Erano la mia famiglia, il mio scopo di vita e voi me li avete tolti!
Affondo ancor di più il pugnale in profondità. Sento l’osso, premo ancora di più e si rompe scricchiolando macabramente.
Lo prendo per i capelli mentre geme come un agnello al macello.
-Lasciami vivere, t-ti supplico! Ho moglie e figli!
Faccio una smorfia di disgusto a quella frase.
-Quel che si semina, si raccoglie.
Il corpo si dimena violentemente, gli occhi fuori dalle orbite, gemiti strozzati escono dalla gola a cui manca aria. Scalcia inutilmente con le gambe sotto il vuoto.
Si irrigidisce, immobile penzola, la faccia violacea gonfia, la bocca spalancata e la lingua di fuori.
La sua sagoma si staglia sul cielo nero illuminato da una luna piena posta proprio dietro al suo cadavere.
Se lo merita, mi ha tolto l’amore, ma ora vi ho vendicati e potrete riposare in pace.
Jenna, Len, ora non ci siete più, piango ogni notte per voi, ma vi avrò sempre nel cuore, con la speranza di vederci di nuovo quando salirò lassù in cielo anche io.

Libero


I scricchiolanti polsi di un vecchio. Una barba candida e lunga. Occhi berilli in un' opprimente oscurità soffocante.
il respiro solo un rantolo roco.
Anni di catene hanno fiaccato il suo corpo, divenendo gracile.
Lo hanno privato della libertà fisica, ma non quella del suo pensiero, della sua felicità, che nessuno può e potrà mai togliergli.

35 anni di solitudine non sono serviti a farlo arrendere; un giorno non troppo lontano, pensa, sarebbe uscito da lì.
La sua libertà: un prato verde, in un giorno di pioggia. Corre e non si stanca, ride e non si ferma, raggiunge la casa.
La vede. Il suo viso è bello e giovane, non è mai cambiato. nella sua mente è sempre rimasta uguale. Il tempo non ha interferito con la sua dolcezza, eterna.
Ritorna nella cella, fredda e squallida.
Alza il viso, l'ossuto collo regge a malapena il cranio calvo.
E' felice, pervaso da una forte sensazione di speranza e trionfo.
un grido squarcia il suono del silenzio.
-Io sono LIBERO!!!
Segue una fragorosa risata.
Lui non si è mai considerato veramente imprigionato, perchè si sente libero da ogni cosa.

Passano altri 6 anni ed il suo viso vien baciato dal sole, la brezza frizzante di una serata primaverile carezza le rughe polverose e profonde.
E' come se la immaginava, dolce, forte. La sua vera bellezza non è mai svanita.
le nuvole si ingrigiscono e si gonfiano. una pioggerella leggera cade dal cielo, quasi intangibile.
Le corre incontro, per quanto le gambe scheletriche glielo possano permettere.
Il cuore batte forte, gli fa male.
Ansima e quasi non respira.
La raggiunge e la stringe a se. le sue forme sono tonde, il seno morbido e le guance rosee. Un pianto di gioia.
-Finalmente sei libero!
-No, non è vero. Lo sono sempre stato..
Il cuore si ferma, chiude gli occhi.
Muore felice.
Muore libero.

Bella



Ah, ed un altra giornata ha inizio. Accendi la luce di malavoglia e vedo i tuoi stupendi occhi attorniati da lunghe e suadenti ciglia. Prendi il sapone e lo strofini per bene sul tuo viso perfettamente ovale.
Ecco, metti di nuovo quel'affare sugli occhi. Come si chiama, già? Ah, Eye liner, giusto! Non dovresti metterlo, stai meglio senza.
Continui l'opera mettendo quel rossetto cupo, ma che mi fa impazzire.
Pettini i ricci ramati e cerchi di metterli a posto, senza alcun risultato. Sbavi l'ombretto e ricominci il lavoro da capo.
Ti arrabbi e ti innervosisci, tu non sai quanto mi fai male quando insulti il tuo meraviglioso volto ed i tuoi fianchi rotondi e morbidi.
Disprezzi la forma dei tuoi seni e della pancia, indossando una maglietta troppo attillata che cambi subito.
Ti pesi sulla bilancia: 80 kg. Piangi e soffri, sentendoti diversa dalle altre.
Per me sei 80 kg di bontà ed amore, e sei stupenda lo stesso.
Non ti piaci e vuoi cambiare tutto di te stessa, vorresti non essere così come sei ora e te ne dai la colpa.
Non importa cosa pensi di te, ma io rifletto solo la realtà concreta.
La vera bellezza non svanisce mai e te lo dico io, ma non mi ascolti.
Ti vedo ballare a modo tuo "Sound of Silence", canti con il cuore le poesie di De Andrè. Parli al telefono con le amiche e so chi sei, ne sono certo!
Non tutti sanno parlare come fai tu.
Non tutti hanno la tua fantasia che esprimi davanti a me.
Non tutti sanno scrivere una canzone con parole sensate e dolci.
Non tutti sanno dare una carezza, come fai tu.
Non tutti sanno arrivare al cuore di una persona.
L' adolescenza è dura, ma presto finirà, tranquilla.
E' solo questione di tempo.

Pablo & Miguel


Sul tetto ombra e luce si alternavano a ritmi costanti. Un grande falò scoppiettava vivo, la gente ballava, beveva e cantava allegramente. A San Ricardo era appena finita la guerra civile.
Si stava godendo quel momento, in fondo.
Un colpo facile, pensò, un minuto al massimo; il minimo errore, però, sarebbe stato fatale.
Si lanciò giù con un tuffo ad angelo, le gambe unite e le braccia aperte. Gli occhi erano chiusi e sulla pelle sentiva l’aria fresca di una sera di Febbraio.
Atterrò accovacciato, i capelli neri scesero sinuosi sulle spalle.
Si stava avvicinando un rumore di passi sferraglianti. Una capriola e si nascose dietro a un muro.
Salì per la lunga grondaia della villa, arrivò poi sino al cornicione con un balzo felino.
Si lasciò andare, giungendo sul balcone.
Tirò fuori il suo coltello multiuso ed un “clock” secco squarciò la quiete lontana dal falò.
Gli occhi erano due zaffiri che scrutavano nell’oscurità, prima a destra, poi a sinistra.
Con passo felpato giunse al comodino che aprì inutilmente, poiché dentro era vuoto.
Se non era lì, poteva essere solo in un posto.
Il seno della ragazza si alzava ed abbassava regolarmente era lì, lo sapeva. 
Si avvicinò e cercò di staccarlo delicatamente, ma si rigirò nel letto mugugnando.
Con il suo coltello spezzò la catenina e riuscì a brandire il medaglione di diamante , preziosissimo e rarissimo.
Mise il malloppo nel suo borsellino di cuoio nero.
Appoggiò la mano sulla maniglia per uscire, un balzo e sarebbe fuggito.
Tornò al letto e le diede un bacio.
-Addio, Helena.
Si voltò e non si rese conto di averla svegliata. Si tastò il petto e il medaglione non c’era più.
-Al ladro! Al ladro!
Non c’era più tempo, le guardie stavano già per sfondare la porta chiusa a chiave.
Saltò direttamente dal balcone atterrando su un carro che partì immediatamente, per fuggire.
-Santa Teresas, Miguel!
-Non dire niente Pablo, e va veloce! Guarda qua…
Fece vedere il bottino, che luccicava alla luce delle fiaccole in strada.
-Ohoh! Perfetto! Cavolo, ci sono già alle calcagna!
Come non detto, Miguel tirò fuori il suo amato fucile ed aprì il fuoco.
- Comandante, che facciamo?
-Bhè, che aspettate, la processione? Fuoco!
Iniziò la botta e risposta tra pallottole, finchè…
-O Marias, hanno colpito i caval…
Il carro deragliò sul ponte, i due caddero a terra rotolando. I soldati li avevano quasi in pugno.
Pablo era svenuto e Miguel lo teneva per la camicia.
Vennero messi con le spalle verso il vuoto.
-Io, Comandante Garcia de Perez, vi dichiaro in arresto, fratelli Hernandez!
Miguel guardò il fiume veloce, sotto al ponte.
-Certo, se mai riuscirete!
Fece un solo passo indietro e si lasciò andare nel vuoto, dopotutto non era la prima volta.
L’acqua era fredda e aveva fatto rinvenire Pablo, che non sapeva nuotare. Miguel lo teneva con la testa sopra, se no sarebbe affogato.
La corrente forte li portò abbastanza lontano da San Ricardo per non essere rintracciati e riuscirono a raggiungere una delle due sponde per uscire.
Erano fradici, ma soprattutto sfiniti.
Il fuoco scoppiettava allegro ed i due stavano cenando con fagioli piccanti e pollo.
-Ahah! Dovevi sentirlo “ Io, Comandante Garcia de Perez!” era comico!
-Ci credo, peccato che non ho assistito!
Ci fu una pausa di silenzio Pablo diede una pacca sulla spalla di Miguel.
-Sei stato bravo nel colpo. E’ successo di nuovo?
Miguel era perplesso.
-Cosa?
Lo fulminò con uno sguardo, alzando un sopracciglio.
-va bene, lo ammetto! Helena è una ragazza solare, stupenda e mi è spiaciuto trattarla in quel modo. Prima facendole la corte, poi derubandola, sapendo dove vive… e dorme.
Pablo si passò una mano trai capelli rosso fuoco.
Oh, no, dimmi che non l’hai fatto!
-Cosa? Ma tu capisci sempre male, non è possibile!
Scoppiarono nuovamente in una risata ilare.
Spensero il fuoco e si distesero supini.
Le stelle erano splendenti, al centro di quella distesa nera puntinata di bianco c’era la luna lucente più che mai, che veniva lodata dal canto di un coyote in lontananza.
- Ehy Miguel!
- Sì, Pablo? Che c’è?
Si voltò per guardarlo in faccia. Di notte gli occhi di Pablo potevano sembrare quasi nocciole.
- Bhè, com’era in “tu-sai-cosa”?
Miguel gli lanciò uno stivale in faccia.
-Sei disgustoso, te l’ho mai detto? 
-Se “disgustoso” è un sinonimo si schifoso, idiota e porco… sì, tante volte!
-Sarò pure un ladro, ma no uno sporcaccione, un paio di valori ce li ho ancora!
Pablo sbuffò.
-Dovresti lasciarti un po’ andare a volte, sai? Divertirti, bere un po’ … ed anche in “tu-sai-cosa”!
-Te l’ho già detto che non faccio quelle cose, mi fa schifo l’alcool!
Pablo rise. Lo prendeva sempre in giro perché era ancora vergine ed astemio, ma Miguel non se la prendeva più di tanto, ma ne andava fiero.
-Tocca a te fare il primo turno di questa notte, Pablo!
- Santa Teresas, sempre io? Va bene, dormi bene… Mongolo.
-Guarda che ti ho sentito, eh!?
Pablo alzo le spalle e rise divertito. Brandì il suo Harpers' Ferry ed iniziò a vegliare.

English Man in New York


Mi alzo ed un nuovo giorno è cominciato. Bevo il mio caffè e addento il buon pane tostato con uno straterello di burro morbido. A metà mattinata faccio il mio brunch con del tè proveniente da Londra, addirittura approvato da Sua Maestà, e dei fantastici cookies anch’essi originari del medesimo luogo.
Indosso il mio cappotto a doppio petto verde e sistemo la sciarpa granata. Esco in strada e mi tuffo in quel groviglio di strade in mezzo alla folla.
I taxi suonano il clacson, la gente si urla dai finestrini gettando meschini sproloqui a quello di fronte.
Sono nella 12th Avenue ed il paesaggio non cambia affatto quando volto l’angolo.
Bhè, devo ancora abituarmi al fracasso degli americani, tuttavia sono un inglese a New York!
Questi Yankee sono troppo schietti per i miei gusti: non hanno paura di offendere? Eppure sono così sinceri..
-Sii sempre te stesso, non importa cosa dicono gli altri!
Dice sempre così mia madre.
L’accento di qui è strano, così aperto e moscio, quasi incomprensibile e mi pare ancor difficile intendere tutto quel che mi viene detto. Il mio accento British è molto più tradizionale e l’americano non lo considero nemmeno derivante dall’ inglese.
Credo comunque che al grottesco non ci sia limite, soprattutto quando sono stato per la prima volta da Ciccio. Anche gli italiani sono sorprendenti: hanno un modo tutto loro per esprimersi, pure con i gesti!
-We wee signò! Che ordinaste? Ve conzigl’ o piatto do iuorno!
Credo che sia stata la prima volta che abbia mai sentito un italico conferire parola, sono gentilissimi e molto disponibili e lui è riuscito a comprendere, non so come, che sono inglese.
Oltre che cordiali sono pure molto attenti ai particolari questi italiani! Ed io che credevo fossero tutti pizza, mafia e mandolino. La loro lingua, la loro storia, gli usi ed i costumi… semplicemente sublimi!
Molte volte Ciccio mi istruisce sulla lingua ed io mi diverto come un pargolo in festa.
Mi ha insegnato qualcosa come “cornutooo” oppure quel fantomatico “gesto dell’ombrello” accompagnato da un poderoso “TIE’ ”. Non ho ancora afferrato bene cosa significhino, ma il tutto è strabiliantemente affascinante.
Credo che prima o poi mi adatterò bene a vivere in un luogo così interculturale e vario.
“Il mondo ha musica per chi sa ascoltare” recita Shakespeare.
Dove vivevo io in Inghilterra in un piccolo paese  non c’erano stranieri e tutto ciò che sto imparando e vivendo mi sembrano irreali.
Un nuovo mondo oltre la mia ristretta mentalità si sta aprendo dinnanzi ai miei occhi curiosi e credo che questa city aggraderà i miei bisogni culturali, dopotutto sono un uomo inglese in New York.