domenica 10 marzo 2013

Jonha Everett 2



Voci, scoppi, rumori di dubbia provenienza. Jonha era appena arrivato in città che giá si era pentito di andarci. Prima avrebbe fatto, prima sarebbe ritornato. Stava per calare la sera, perchè da dove abitava lui sino alla città ci voleva un bel pó per arrivarci, a piedi, perchè non aveva un cavallo. Clint era al suo fianco, silenzioso e un pó impaurito dal baccano cittadino, ma il padrone lo rassicurava carezzandogli le orecchie.
Passando accanto a donnine curiose e bambini frignoni, lavoratori e vecchi ubriaconi, si fermó. Il negozio di armi da Boe era chiuso, non c'era più nemmeno l'insegna, solo delle desolanti assi di legno e un cartello.
-"Chiuso per fallimento."
Guardandosi in torno vide che altre case e locali erano nello stesso stato.
-Jeb, dove stai andando?
-Ehy Jim.. Qui sta chiudendo tutto, vado a Nord, dicono che si stia meglio là!
-Non andare, non anche tu! Il tuo negozio..
-Mi spiace, Jim, ho deciso! Augura a Molly e tua figlia una buona fortuna! Yhaaa, vecchia bestia, su!
Diede uno strattone al cavallo e il carro partí, carico di bottiglie, coperte, provviste.
Appoggiandosi ad una parete all'ombra, Jonha si mise a masticare del tabacco fresco massaggiandosi gli occhi, mentre il suo compagno si sedette guardandolo con aria attonita.
Sentendo della musica dal saloon, decise di andare a vedere se c'era posto per lui.
Ogni volta che entrava in un saloon, gli veniva in mente Cavallo Pazzo Ty, anche se era passato del tempo.
-Vieni bello, da bravo..
Dentro c'era una banda che suonava allegra un motivetto popolare.
Cantava una deliziosa ragazzina bionda con due trecce lunghe e gli occhi azzurri e suonava il banjo, accompagnata da percussioni improvvisate e un violino.
-Siete nuovo, straniero! Non vi ho mai visto fino ad ora..
Il locandiere stava asciugando un boccale con aria sospettosa squadrando Jonha. Era molto più giovane e carino di Owen.
Sbattè dei soldi sul bancone e se li riprese.
L'altro cambió atteggiamento, il linguaggio dei soldi lo capisce chiunque.
-Cosa prendete signore?
-Wiskey.. Il più forte che avete e dell'acqua, per il cane... 
-A me non sembra un cane, più un lupo e qui non sono permessi animali, ma potrei non aver visto niente..
Jonha posó altri soldi sul bancone.
Il ragazzo gli versó un bicchierino riempiendolo di un liquido rossastro e fumante e una ciotola d'acqua che poggió a terra. Stava per mettere a posto la bottiglia che Jonha gli afferró un braccio e la prese bevendo direttamente a canna.
-Dove sono Boe, Owen.. Che succede?
-Sono andati tutti via, io l'ho preso gestione per fare un favore al vecchio Owen.. Io sono Math.
Vedendo che Jonha era all'oscuro di tutto alzó un sopracciglio.
-Dove vivi, nei boschi? I fratelli Garcia sono evasi di prigione, allora tutti scappano perchè hanno paura.
-Capisco..
-Ignorante ma non tonto, meno male!
-Modera il linguaggio ragazzino, potresti ritrovarti la lingua mozzata..
Math fece spallucce.
-I Garcia sono capaci di peggio, fidati! Fosse solo la lingua che tagliano.. 
Bevve un sorso e sentí tutti che applaudirono alla cantante che si avvicinó al bancone, accanto a Jonha, mettendosi a conversare amichevolmente con Math. La ragazza scorse Clint che stava ancora bevendo la sua acqua.
-Che bello!! Un lupo! Come si chiama? Vieni qui bello!!
Inaspettatamente, il lupo si avvicinó alla ragazza e si lasció pacioccare.
-Clint, traditore...Attenta, potrebbe staccarti via la mano con un solo morso..
-Ma va, è un amore!!
Clint s'era messo a pancia in sù e zampe all'aria, la lingua penzolante.
-Sapete, ho una certa esperienza con gli animali, anche selvaggi!
In effetti Clint era socevole con nessuno, strano che si facesse avvicinare da una ragazzina qualunque.
-Io sono Dakota, Dakota Krysler, piacere!
Allungò la mano verso Jonha sorridendo ingenuamente.
-Krysler, eh?
Non rispose alla stretta e bevve un altro sorso dalla bottiglia finendola.
Math lo indicò facendole capire che non era molto socievole, uno straniero solitario.
-Bhè? Non hai più la lingua? Ce l'avrai un nome.
-Jonha.
-É un buon inizio! Ho tredici anni, voi? Da dove venite? Che fate qui? Cosa..
Le lanciò uno sguardo penetrante.
-C'è una camera libera?
Math fece spallucce vedendo l'espressione delusa della ragazza.
-Ce n'é una libera, secondo piano a destra in fondo al corridoio.
Jonha era già pronto a tirare fuori i soldi che Math lo fermó.
-Qui si paga quando si va via, nuova regola! 
Si alzó dalla sedia al bancone e salí le scale chiamando a sè il lupo, seguiti da Dakota.
Giunsero in camera e Jonha si stiracchió.
-Se hai bisogno, tra poco si fa cena..
"Slam".
Le chiuse la porta in faccia, a chiave, senza aggiungere niente.
-Pf, stranieri, siete tutti uguali!
Porse l'orecchio per sapere se avesse sentito, ma rimase di nuovo delusa dal silente ospite.
Jonha si tolse il cappotto lungo e lo buttó sul letto insieme al cappello. Clint era tranquillo e stava davanti alla porta con la schiena ritta.
Jonha guardó fuori, tutto buio e calmo, almeno di notte si poteva stare tranquilli. Le lanterne dentro le case erano le poche cose che si potevano vedere stagliate sul cielo stellato con la luna piena.
Specchiandosi nella finestra osservó la cicatrice sulla guancia, a X. 
-I fratelli Garcia..
Si slacció il fazzoletto che aveva al collo e si sfiló la maglia, poi i pantaloni. Preparó una tinozza d'acqua per farsi un bagno. Acqua fredda, ovviamente.
-Tempra il carattere, ragazzo mio!
Clint uggioló confuso e inclinó il muso.
Quando il tutto fu pronto, si immerse nella tinozza lentamente, le gambe e le braccia fuori, penzolanti come due bandiere, della Tequila ib mano.
-I fratelli Garcia..
Fissó lo sguardo sul soffitto di legno logoro e mezzo cadente perdendosi nei ricordi.
Spari, urla, panico.
-Vamos, vamos! Mani in alto!
La banca di Hevada City era stata assaltata dai famigerati fratelli Garcia. Una miniera d'oro non avrebbe potuto ripagare la taglia sulle loro teste. Juan, Pedro e Alvarez, questi erani i loro nomi.
Erano tutti a terra, le mani sulla testa, il banchiere dall'altra parte della grata tremava, mettendo i soldi in un sacco di iuta.
Johna era appena entrato, che Alvarez, quello che parlava solo messicano, gli stava urlando qualcosa.
Lentamente si inginicchió sotto gli schiamazzi del messicano, poi fischiettó.
Clint entró nella banca ed assaltó Alvarez mettendolo fuori combattimento.
Jonha tiró fuori il suo Winchester e miró alle mani degli altri due disarmandoli.
Li lasció sotto il dominio di Clint che tirava fuori i denti ogni volta che Pedro e Juan si muovevano di poco.
Jonha si avvicinó al banchiere e gli porse un sacchettino.
-Lo metta sul mio conto.
L'altro era ancora sotto choc, ma capì ció che gli aveva detto.
-C-co.. Come s-si..
-Everett, Jonha Everett.
Era sopraggiunto lo sceriffo Krysler, che aveva legato le mani a tutta la banda, Alvarez compreso anche se era incosciente.
-Ce la pagherai, el gringo!
Jonha chiamó a sè il suo compagno schioccando la lingua e se ne andó senza aggiungere una sola parola. 
-Ma chi è quello?
Il banchiere strinse il sacchetto che aveva tra le mani.
-Jonha Everett, sceriffo Krysler, il nostro salvatore..
Da quell'avvenimento non era più stato a Hevada City, se no avrebbe incontrato di nuovo tutte quelle persone, lungi dal dimenticare la sua faccia, forse. Non voleva il plauso del successo, che fosse trattato come un eroe, perchè non gli piaceva la gente. Voleva stare da solo, nessun amico, tranne Clint, unico compagno degno di lui.
Sentì la toppa della porta che cigoló e la porta si aprí, Jonha volse lo sguardo e vide chi stava pet entrare.
-Ecco la cena, ho pensato che.. O diamine!
Si sentirono solo piatti rotti e posate tintinnanti.
Dakota si era coperta il viso con le mani, che era rosso come un peperone.
-S-scusa, non ho visto niente! T-torno più tardi a pulire tutto! Ho-ho il passpartout..
Jonha era indifferente, in fondo era vero che lei non aveva visto niente.
-S-spero ti trovi bene qua, 'notte!
Sbattè la porta e la richiuse a chiave, scendendo le scale e dandosi più e più volte della stupida.
S'era fatto tardi, perchè Jonha guardo l'orologio e segnava quasi le undici, era stato lí dentro quasi due ore.
Uscí fuori e si mise un asciugamano in vita, mettendosi a ripulire il tutto che aveva fatto cadere la ragazza.
Diede i rimasugli di cibo a Clint che se li gustó a pieno, leccando anche il pavimento.
-Non ti consumare la lingua... Dev'essere veramente pessimo il cibo qui, se ti piace.
Mentre che era svestito, lavó i vestiti nella tinozza e li stese fuori dalla finestra.
Si stese sul letto, supino con le braccia dietro alla nuca e Clint accanto a sè, manco fosse stata un' amante. O almeno i lupi sono più sono fedeli delle donne, di gran lunga. Spense la lampada ad olio e si godette il buio tranquillo della camera, finchè chiuse gli occhi.

venerdì 15 febbraio 2013

Jonha Everett


Il vento gli frustava il viso, gelido, senza pietá. La neve quasi non si scioglieva più, anche l'espressione era la stessa talmente faceva freddo. Un uomo solitario, senza passato e senza futuro. Basti sapere il suo nome, Jonha, tutto qui. Il logoro cappello era fradicio, non assorbiva più acqua. Il giaccone lungo ondeggiava nell'aria e sfiorava la neve a terra, alta.
Un uomo senza amici, solo. In tutti quegli anni da ramingo non aveva instaurato alcun legame, se non di odio. Non ci riusciva, era nel suo carattere, inoccultabile come fosse stato stampato col fuoco. Oppure non ne aveva voglia, meglio soli che mal accompagnati.
L'unica presenza piacevole era Clint, occhi azzurri, socievole solo con Jonha, un ottimo cacciatore con l'udito fino, agile e slanciato. L' unica cosa strana era che Clint era un lupo. Anche lui avanzava nella bufera non senza fatica, 
Stavano addirittura avanzando in salita, finchè non videro il loro rifugio, in lontananza.
Con un ultimo sforzo lo raggiunsero, stremati.
Non la si poteva neanche chiamare casa, era piccolissimo, quattro metri per quattro, più o meno. Lunga giusto per stendersi e dormire, grande abbastanza per un piccolo caminetto a legna e qualche mensola, un calderone sopra il focolare.
-Tesoro, siamo a casa.
Clint si scosse e si sedette davanti al fuoco osservando il padrone mentre si toglieva i vestiti zuppi ed il cappello. 
Aveva i capelli neri e mossi, vaporosi. Gli occhi due pozze d'inchiostro, non si distingueva la pupilla dall'iride. Aveva una barbetta incolta e ruvida che incorniciava un volto spigoloso e segnato dal tempo. Una cicatrice chiara a p X spiccava sulla guancia destra. Al collo portava una catenina di argento, ossidato da quanto stava a contatto con la pelle, con attaccato un proiettile, il primo, di una lunga serie, che uccise un uomo.
Se lo ricordava benissimo, come fosse ieri. Era in un saloon di Kansas City, era lí per trovare un posto per la notte. Un uomo, ubriaco gli stava dando fastidio, finchè non scoppió la solita rissa da saloon, tutti che picchiavano tutti, anche senza motivi. Oppure era una strana dimostrazione di un contorto affetto. Lui si stava gustando la sua Tequila in santa pace, quando sentí uno sparo.
Tutti si fermarono all'istante e smisero di fare qualunque cosa. Entró un uomo, la solita faccia da criminale, il capo della banda alle sue spalle, camminava barcollando a spalle curve.
-Che succede nel MIO saloon?
Un vecchio, con un occhio nero ed il naso rosso, indicò Jonha con il suo dito raggrinzito.
-Chi sei tu, straniero?
Non rispose, non voleva rogne.
-Hai sentito? Cavallo pazzo Ty ti ha fatto una domanda!
Tacque ancora e prese un altro sorso di tequila.
Uno della banda si avvicinó al bancone e tiró un pugno al davanzale.
Jonha si fermó non degnandolo di uno sguardo, continuando a bere.
-Non voglio casini, andate via.
Ty rimase a bocca aperta ed aprí le braccia, fece qualche passo incontro a Jonha, che gli dava ancora le spalle.
-Avete sentito, ragazzi? Non vuole casini, codardo!
Rimase immobile, posando il bicchierino vuoto. Accese un sigaro.
-Cosa c'è codardo? Non ti piace essere chiamato cosí..?
Puntó la pistola alla sua nuca.
-Bang-bang, codardo! Oggi sono misericordioso, ti do 3 secondi per lasciare questo posto e se ti rivedo, peggio per te..1..2..
Prevení il colpo e sparò all'uomo tra gli occhi senza pensarci due volte. Lasció un paio di monete al locandiere nascosto dietro al bancone. Tutti immobili e zitti, finchè non uscí sputando a terra del tabacco. Strano per un uomo uccidere cosí a sangue freddo una persona, ma Jonha cacciava animali e quello aveva tutte le caratteristiche per esserlo. 
-"Cavallo pazzo Ty". Pff, patetico. 
Mise dell'acqua, fagioli e qualche spezia a lasciar cucinare nel piccolo paiolo.
-Ieri fagioli, oggi fagioli, domani..?
Wof-Wof!
-Bravo Clint, domani fagioli!
Aprí una bottiglia di wiskey e la finí tutta a canna, il lupo ai suoi piedi, assonnato.
Guardó le pareti, il fuoco che scoppiettava allegro e Clint che russava. Jonha pensó che prima o poi la casa sarebbe crollata dal rumore che faceva quando dormiva.
Prese il suo fucile da caccia e lo lustró per bene fermandosi un pó a pensare.
-Domani città, le pallottole stanno finendo.. 
Guardó fuori e vide tutto buio pesto con qualche fiocco che si intravedeva.
Era sicuramente tardi ed il giorno dopo sarebbe dovuto partire presto alla volta della civiltá.
Prese delle coperte e si mise davanti al camino, dopo averlo caricato per bene di legna.
Muse le mani dietro la nuca e rimase a contemplare il soffitto per un bel pó, pensieroso. Odiava la città, troppa gente, troppo rumore. A lui piaceva la vita da cacciatore solitario, la gente cittadina era troppo frettolosa e curiosa verso gli stranieri, come lui. Si toccó il ciondolo e sorrise.
Era da un pó che non andava a Cheewa City per rifornimenti di munizioni, esche ed ogni volta che ansava era disorientato.
Dopo un pezzo chiuse gli occhi e si giró di fianco, il respiro si fece pesante e si addormentó con Clint accanto a lui.

venerdì 25 gennaio 2013

Sophia & Zac


Il classico “Più-Fighetto” della scuola: chiodo in pelle, jeans a kilt e per ultimi, mica per importanza, i Ray Ban a specchio.
Chiuse  l’Audi TT nera elegante ed attraversò il vialetto della scuola con nonchalance sfilando davanti a tutte le stupide ochette con la bava alla bocca. Si tolse il chiodo tenendolo con due dita e lo appoggiò alla spalla destra, scosse la testa mettendo a posto il ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sulla fronte. Alcune delle “affamate” svenivano, altre si evolvevano in pentole a pressione e Chili. Sotto la canottiera bianca si notavano i pettorali da mucho macho, con un tribale Mahori sulla spalla e parte dell’avambraccio.
Stava per varcare la soglia, la mano appoggiata sul maniglione antipanico rosso sgargiante, che si ritrovò  un barattolo a due centimetri dal naso.
-Ma che…
-Sono per beneficenza, striamo facendo una colletta per i bambini poveri.
-Non me ne frega niente!
-Ah, già, mi sono scordata che la tua crema antibrufoli ha più priorità!
Questa era Sophia Lloyd e così si vedeva che bel caratterino aveva. Quel giorno aveva acconciato i capelli rossi in due codini bassi ed indossava una larga gonna verde al fino ginocchio sopra dei blu jeans e delle infradito arancioni e portava un top dello stesso colore della gonna ed una giacchetta in jeans.
-Almeno la mia crema serve a qualcosa, tu ne avresti proprio bisogno!
Ovviamente la ragazza aveva sempre la risposta pronta a queste cose.
-Per carità, non sia mai che tu ne rimanga senza, Zacharia Wood!
-Zac, Zac! Quante volte te lo devo ripetere!
-Fino a quanto basta!
Sorrise soddisfatta, credendo di averlo chiuso definitivamente, illusione.
-Ok, hippy, l’hai voluto tu…
Alzò la gamba, stava per buttare giù il piccolo stand di Sophia…
SBANG!
Ecco Zac con le chiappe a terra, con la guancia dolorante. Tutti guardavano, ridevano e puntavano il dito, mettendo a dura prova la pazienza del biondino.
-Sei pazza? Mi hai tirato un pugno!
Sophia ci pensò un attimo, carezzandosi il mento.
-Mmmm forse sì, forse no, non mi importa! Zacharia, provaci di nuovo e vedi…
Zac si tolse la polvere dai pantaloni  e la guardò dall’alto in basso, letteralmente, perché Sophia era alta un metro e una mela. Sbuffò e si rimise il chiodo mettendoselo a posto. Abbassò i Ray Ban sul naso e Sophia puntò i suoi occhi castani in quelli azzurri dell’altro.
-Umpf, non ti meno solo perché sei donna, non ci penserei due volte, se no!
-Tranquillo Zacharia, lo terrò a mente!
Zac aprì il portone d’entrata, la gente era tornata a ciò che stava facendo.
RIIIIIING!
-Bene Pochaontas, vai in classe, fa qualcosa di utile… “Secchioneggia”! E non rompermi più le scatole!
-Pensa ai tuoi voti, un po’ di studio non ti farebbe mai male, caro!
Sul viso della ragazza c’era un sorriso beffardo e fu efficace.
Infastidito da quella scomoda verità, le diede le spalle e si incamminò in corridoio. Sophia lo guardò finchè non lo vide più. Dopodiché, ritirò le sue cose in una borsa di cotone multicolor e si diresse insieme agli altri ognuno nelle proprie classi, la scuola era di nuovo cominciata.


mercoledì 23 gennaio 2013

Powerless 1



Scuola per supereroi, ambiente banale, ma efficace. un liceo in una struttura gigante e appena visibile da qualche parte dell'America del Nord.
Elly deve affrontare il primo anno di scuola ed è tra l'eccitato e l'angosciato, tuttavia il pensiero che avrebbe frequentato la scuola con la sua migliore amica Marty la solleva.
Raccoglie i capelli castani in una bandana, lega le sue converse ed esce di casa con un sospiro, facendosi coraggio.
E' su un mezzo dato da un incrocio con un pullman scolastico ed una navicella aliena, curiosa combinazione interessante, in piena notte.
E' certamente diretto dall'altra parte di dove abita la ragazza e si prospetta un viaggio lungo.
- Chi me lo fa fare!? Speriamo in bene, va!

Come sempre ascolta musica con il suo I-pod a tutto volume. Non è nemmeno a metà percorso che già si annoia.
Con il suo carattere espansivo cerca di mettersi a parlare con un gruppo di ragazzi davanti a lei, ma questi si rivelano poco socievoli ed arroganti.
dal loro modo di vestire avrebbe dovuto certamente immaginarlo: felpa da college iper costosa, pantaloni firmati e capelli perfetti freschi di gel a lunga durata.
Cercando di tornare al suo posto, uno di quelli le fa lo sgambetto travolgendolo e facendolo cadere a terra.
-Cappero, sei ancora vivo? Mi spiace, ma credo di essere inciampata su qualcosa!
Lui alza lo sguardo senza rancore. Rimette a posto i lunghi capelli carota col suo cerchietto nero ed un elastico.
- Tranquilla, non è successo niente!
Le porge una mano in un guanto in pelle nera e le sorride ammiccando.
- Mi chiamo Robyn, quest'anno frequento il terzo anno anno! Tu devi essere nuova!
Elly risponde con una poderosa stretta di mano e, sentendo quella delicata del ragazzo, ha paura di avergli fatto male.
- Ops, scusa, ho una forte stretta! Deve vedersi come me la sto facendo addosso!
Robyn scoppia in una risata non di scherno, ma di gusto.
- Giusto un poco! Puoi sederti vicino a me se vuoi! E' sempre libero!
lei accetta ringraziandolo.
I due passano tutto il viaggio a parlare ed è mancato poco che lui soffocasse da quanto rideva per come lei parla.
- Son dei pezzi di deficienti quelli!
Dice Elly mentre parlavano della gente che non si vuole mai sedere accanto a lui perchè è "strano". Lui scoppia a ridere di nuovo che quasi schiatta piegandosi in due.
Arrivati quasi a destinazione Robyn le dice che non ha mai riso tanto così dal primo anno di liceo e lei lo ringrazia arrossendo.

giovedì 17 gennaio 2013

Angie & Lex


-Muoviti, siamo in ritardo!
Angie, come al solito, si doveva ancora mettere le scarpe e legarsi i capelli, Lex era già pronta da molto più di lei.
-Fatto, andiamo all’avventura!
Lex tossì per attirare la sua attenzione e l’altra la guardò interrogativa.
-Che c’è? Oh, giusto!
Prese la sua Magnum 357 ed uscirono, aprendo il garage.
-Oggi guido io!
Lex, contrariata, la fermò per il cappuccio della felpa.
-Accomodati dietro, non voglio rischiare di morire, come l’ultima volta.
-Ahah, divertente… me la segno!
La Suzuki  nera sfrecciava nel traffico, veloce come il vento, Angie si teneva aggrappata alla vita di Lex, per non cadere giù dalla moto sfracellandosi il viso a terra.
-Chi aveva parlato di morte, prima?
Lex rise e tirò a tavoletta la moto per compensare il ritardo che l’altra aveva causato.
Arrivarono e subito i commissario Fox le corse loro incontro chiamandole.
Angie era un po’ ansiosa, aveva tutti i capelli arruffati, allora se li sistemò. Erano tutti rossi e ricci, molto lunghi, che le arrivavano quasi ai fianchi. “Sono capelli da regina” diceva sempre allo specchio. Un po’ vanitosa a volte, ma era una brava persona, pensava Lex.
-Agente A, agente L, grazie per essere venute.
-Commissario..
-Abbiamo un problema di livello 3, siete al corrente di tutto?
Lex si tolse il casco, mostrando corti capelli verde acido, con una treccina che scendeva su una spalla.
-Rapina a mano armata, barricati all’interno dell’edificio, tengono ostaggi per riscatto… Sì, ne abbiamo presente…
Fox non era sorpreso dalla preparazione di Lex e sorrise, perché era la risposta che voleva più sentire in assoluto in quella situazione tra novellini in subbuglio ed incompetenze professionali.
-Fuori tutti con nonchalance oppure volete prigionieri?
-Angie, per favore..
Lex caricò la sua arma, uguale a quella della compagna e fece cenno al commissario.
-Perfetto, andate!
Stavano per entrare, quando sentirono ancora la voce di Fox.
-Ah, fate meno vittime che potete!
Lex fece segno con il pollice dietro la schiena.
Entrarono nel portone della banca, a passi lenti e lunghi.
I tacchi degli stivali a ricciolo di Lex risuonavano nel salone di entrata, era deserto. Angie girava la testa a destra ed a sinistra per scrutare meglio l’ambiente, ma non c’era nessuno apparentemente.
-Jaeni, dove sono..
Lex alzò il braccio e l’altra stette zitta immediatamente, sentirono dei grugniti dietro al bancone della reception e lo indicò.
Si avvicinarono senza fare alcun rumore tenendo le pistole davanti a loro, videro che c’erano gli ostaggi imbavagliati ed incoscienti.
Un “click” arrivò alle orecchie di Angie che si voltò sparando all’uomo che voleva ucciderla. Da quella pallottola iniziò la sparatoria. Le due ragazze si nascosero dietro al bancone con gli ostaggi. Un fumogeno diminuì drasticamente la possibilità di mirare da lontano.
-Inizia la festa, coprimi!
Angie non se lo fece ripetere che aprì il fuoco a casaccio, mentre Lex andava in avan scoperta.
La rossa non la vedeva più ed aveva paura di poterla ferire, quindi sparò sul soffitto qualche colpo, ricaricò e continuò.
Lex vide delle figure nere muoversi indistinte nel fumo e li colpì tutti dal primo all’ultimo, ma non si accorse che ne aveva uno dietro.
Le stringeva il collo con il braccio, lei aveva un ultimo colpo in canna.
L’uomo urlò tastandosi la gamba e lei lo finì con un colpo con il calcio della pistola alla nuca.
Angie liberò gli ostaggi tagliando le corde e togliendo i bavagli, erano stati tutti addormentati con un gas apposito, ma erano tutti salvi. Sentì che c’era silenzio.
Il fumo si diradò quasi del tutto, ce n’era un ultimo, senza armi, con solo un bastone in mano. Si mise a fare tutte le mosse per intimidirla, mettendosi infine in posa di combattimento.
Lei alzò un sopracciglio e si sentì un forte “bang”. Cadde a terra inesorabilmente e vide che Angie aveva la pistola in mano ancora alzata, si stava avvicinando.
-Peccario?
-Cinque morti, un sopravvissuto.
Angie fece un’espressione quasi soddisfatta.
-Meglio di altre volte direi.
Uscirono ed il commissario sorrise loro, con una sigaretta in bocca. I capelli castani si muovevano appena ad una brezza serale di fine estate. Dei poliziotti erano entrati per controllare che tutto fosse a posto, portando fuori tutti gli ostaggi ed i rapinatori più il sopravvissuto.
-Perfetto, agenti, come sempre avete fatto un ottimo lavoro..
Porse una busta gialla a Lex, che la prese soddisfatta, stringendo la mano a Fox.
-Grazie commissario, ci chiami se avrà bisogno di noi.
Appoggiò due dita sula fronte come saluto militare e montò sulla moto, davanti ad Angie, che prese con occhio avido la busta di soldi.
Prima che accendesse la moto, il commissario le si avvicinò, appoggiando le braccia incrociate sul muso della moto.
-Senta, agente L, se è libera sabato…una cena..
Era impacciato e continuava a schiarirsi la voce per l’imbarazzo.
-Sa, una cena di lavoro…da colleghi… nient’ altro..
Angie faceva sforzi mostruosi per trattenere le risate e Lex le tirò una gomitata al petto e tossì, fulminandola con uno sguardo.
-Mi passi a prendere alle 8. Buona serata.
Si mise il casco e partì a tutta velocità per casa.
Il commissario si batteva il palmo della mano sulla fronte, incredulo della sua goffaggine con le donne.
-Stupido,stupido,stupido..
-Commissario, tutto bene?
-Smitthers, un'altra domanda così e la sbatto a dirigere il traffico!

La chiave girò nella toppa e la porta si aprì.
Angie stava ancora ridendo del commissario, non la smetteva proprio più.
-Hai visto Fox? Era rosso come un peperone! Ahahah!
-Umpf, bambina… dovresti avere più rispetto altrui!
Lex si tolse gli stivali rimanendo scalza, tentata di tirarglieli in faccia.
Si preparò una tisana ai frutti di bosco senza zucchero, la sua preferita, e si appoggiò al muro, pensierosa.
-Hai seriamente intenzione di andarci?
-Se intendi all’appuntamento: Sì, ci andrò.
Dallo schienale del divano spuntò la faccia incredula di Angie che strabuzzava gli occhi azzurri.
-Sei pazza? Non sei tu quella che parla sempre di “rapporti professionali” con i colleghi? Non sei sempre tu quella che mi prende per la coda quando ci provo con un altro agente?
-Sì.
La risposta secca di Lex lasciò spiazzata l’altra, che stette zitta, soffiando via il ricciolo che ricadeva sulla sua fronte.
-Io ho fame..
Lex indicò la compagna con un dito.
-Tocca a te cucinare!
-Come? Ho cucinato ieri a pranzo!
-Infatti. Sto ancora digerendo il tuo polpettone..
-Ahah! Mi segno anche questa!
Angie fece finta di scriverselo sulla mano, Lex sorrise e finì in silenzio la sua adorata tisana rilassante, tra gli sbuffi ed i piagnistei di Angie, che però, stranamente, erano musica per le sue orecchie.

venerdì 4 gennaio 2013

Viktor Krim



Bussarono e lui aprì il portone di scatto lanciando un’occhiata fulminante al fattorino intimidito.
Gli stava porgendo tremante una cassettina impacchettata e gliela strappò di mano sbattendogli il portone in faccia.
Era in fibrillazione e non vedeva l’ora di aprirlo. Scartò il pacco e rimase ammutolito.
-Odio la vaniglia.
Krim li aveva espressamente ordinati all’aroma di cioccolato.
Con un gesto buttò tutti i sigari nel cestino, iniziando la ricerca per trovarne uno da fumare, in giro per la casa.
Nei corridoi risuonavano i passi disuguali dell’uomo. La schiena era leggermente ricurva, tipico delle persone un po’ avanti con l’età che utilizzavano il bastone.
Fortunatamente trovò un sigaro dentro uno dei numerosi cassetti di un enorme armadio antico d’epoca, ricoperto da uno spesso strato di polvere.
-Grazie al cielo ti ho trovato, mio caro!
Krim andò nel suo studio per preparare tutto perfettamente per quell’attimo di relax completo.
Avvicinò non senza difficoltà la poltrona al caminetto che scoppiettava allegro.
Riempì un bicchiere con il liquore al cioccolato che utilizzava solo per questo.
Al grammofono mise un vinile di Rossini, il Barbiere di Siviglia, poi realizzò di avere completato tutti i preparativi.
Soddisfatto tagliò la testa del sigaro con la sua ghigliottina, com’era consuetudine farlo, come un rito, e si sedette sulla poltrona rossa in velluto lasciando il bastone d’acero vicino a sé.
Il vecchio si tolse le pantofole poggiando i piedi su un sgabello e si sistemò la vestaglia lunga.
Stava per accendere il suo sigaro quando sentì suonare al portone.
Trasse un lungo sospiro per mantenere la calma e non si mosse, il presunto scocciatore se ne sarebbe andato credendo che non ci fosse nessuno in casa. Ci fu silenzio ed era quasi riuscito ad accendere il sigaro, ma il visitatore bussò ancora.
Krim stava per perdere la pazienza e l’individuo persisteva a reclamare la sua attenzione imperterrito.
Sbuffò irritato e prese il bastone.
-Va bene, ci sono, ci sono!
Raggiunse l’entrata sbraitando ed aprì il portone pronto a dirgliene quattro per averlo disturbato. Fuori pioveva e avrebbe lasciato fuori a congelare chiunque fosse stato a bussare.
Vide chi era ed inarcò le sopracciglia simili a delle fini strisce argentee.
-Kate!
-Ciao, posso entrare?
La fece accomodare togliendole il cappotto fradicio e la accolse nel suo studio, ponendola davanti al camino. Prese un asciugamano e le strofinò per bene i capelli per asciugarli. Erano rossi, come i suoi ai tempi che furono, mentre ora erano tanti fili argentei che gli arrivavano fino alle spalle.
Le offrì una tazza di cioccolata calda, la sua specialità.
-A cosa devo la tua piacevole visita?
-Mia madre mi ha mandato qui e non mi ha spiegato il perché.
 A malincuore Krim doveva rimandare la sua serata di relax e nascose dietro la schiena il suo sigaro al cioccolato.
-Mia cara, potevi scegliere un giorno migliore di questo, guarda come piove!
Lei sorrise, gli somigliava molto, anzi parecchio.
-Hai smesso di fumare, vecchia volpe?
-Sto facendo ottimi passi.
Era troppo vaga come risposta.
-A sì?
Kate prese dal cestino la scatola di sigari alla vaniglia ammiccando al vecchio e sospirò.
-Sai che fa male! E per di più sono aromatizzati!
-Io detesto la vaniglia.
-Lo so.
Prese altri sorsi di cioccolata, il suo sguardo era rivolto verso terra.
-Ora butta quello.
-Quale?
Gli rivolse uno sguardo di intesa, ma lui non cedette, anche se tirò fuori quello che aveva nascosto.
-Questo è l’ultimo che mi è rimasto, dopo basta.
-Zio Viktor, sai che questo non è assolutamente vero e che dopo quello te ne comprerai altri.
Indicò quelli alla vaniglia con un dito.
Lui fece una smorfia, ma dopotutto sua nipote aveva veramente ragione e non poteva darle torto.
-Non ti biasimo, ti preoccupi per me, ma la vita è mia.
-Fa quel che vuoi, allora.
Lei incrociò le braccia in attesa di una qualunque risposta. Il suo obbiettivo era di far cambiare idea allo zio, ma Krim non ci aveva fatto assolutamente caso, prese il liquore che aveva lasciato su un tavolino e lo bevve gustandolo.
Lo sguardo di Kate si raddolcì  e poggiò le braccia sul ventre.
-Zio, per caso ti do fastidio?
Il vecchio era perplesso davanti a quella domanda, perché non si aspettava gliel’avesse mai chiesto.
-Certo che no cara. Se vuoi ti mostro dov’è la stanza degli ospiti, credo che tu sia sfinita per il viaggio.

Si avviarono salendo scale, attraversando corridoi, per infine arrivare alla camera.
Kate entrò e poggiò la sua borsa sul letto a baldacchino, il quale era molto vecchio e scricchiolante.
-E’ tardi. Ti auguro una buona notte.
Lei gli fece cenno con la mano e chiuse la porta.
Krim tornò nel suo fatidico studio per riprendere quello che aveva interrotto.
Sta volta riuscì ad accendere il sigaro ed il primo tiro gli sembrò la cosa più bella del mondo. Gli era sempre piaciuto quel gusto intenso, buono, non come quello delle sigarette, sudice e maleodoranti.
In fondo sapeva che non faceva molto bene che lui fumasse, ma non poteva farci niente, gli piaceva e basta.
Tra il piacere e la dipendenza, pensò, c’era una differenza sostanziale, perché si era dipendenti quando non se ne poteva fare a meno, col rischio di andare in crisi d’astinenza, mentre lui lo faceva di gusto, era una passione per lui.
Dopo quel filo di riflessione aveva anche fatto gli ultimi tiri di sigaro, l’aveva finito tutto.
Congiunse le mani dietro la schiena e guardò il panorama con i suoi occhi di ghiaccio. Fuori pioveva forte e tirava vento. Kate aveva affrontato un viaggio molto lungo per arrivare fino a casa dell’uomo.
-Beatrix, che succede questa volta?
Appoggiò le mani sulla scrivania ed abbassò lo sguardo pensieroso. S’erano fatte l’una e mezza di notte e dovette anche lui andare a dormire, ma prima si versò ancora un po’ di liquore al cioccolato, per conciliare il sonno.
Prese il suo bastone e spense il camino, prendendo una candela per illuminare i pavimenti di pietra.
Dalle labbra del vecchio si creavano nuvolette di vapore tanto faceva freddo.
-Questo freddo mi ucciderà prima o poi.
A causa dell’umidità, la gamba acciaccata gli faceva male e dava fastidio, ma non poteva farci più di tanto, alla fin fine lui era un vecchio e basta, con un piede in una fossa. No, in una pozzanghera.
-Ach, come se non ne avessi già abbastanza, piove anche in casa.
Raggiunse la sua amata camera, spartana con poca e vecchia mobilia. Accese la stufetta vicino al letto per far alzare un po’ la temperatura.
Prima di appisolarsi lesse un po’ del suo libro preferito, ossia Sherlock Holmes.
Ammirava e stimava questo individuo, anche se creazione della fantasia, ma era come avere una certa affinità con il personaggio, perché sentiva che rispecchiasse se stesso, un fratello immaginario.

sabato 29 dicembre 2012

le idi di una scrivente in crisi


 Titolo assolutamente privo di senso e significato, ma, cavolo, bisogna dire che fa figo! Il testo non è da meno, ma mi pareva carino.

1) : L'idea prende forma, si concretizza man mano. I personaggi, i posti, la trama, viene fuori da sola, non sei tu che la inventi, ha preso il controllo di se stessa e vuole che nessuno può più fermarla!! Ti prende, ti incista...

2) : Primo capitolo. Trauma. Cosa scrivere? Come iniziare? Questo è uno dei tanti "shockkanti shock" che tu possa vivere da scrivente. E' uno dei momenti in cui provi a mettere giù qualcosa, ma cancelli tutto a prescindere per ricominciare da capo e diversamente. Ciclo vizioso che come minimo dura per 2 mesi della propria inutile esistenza.

3) : Sei nel bel mezzo della creazione di un pezzo caliente. No, cruciale. Nemmeno cruciale, superstramega importante quando...
- Luiginoooooooo!!!!!! Vieni a stendere i pani, pulire camera tua, sparecchiare la tavola, mettere a posto la legna, Fare il giro del Mondo in triciclo, dare da mangiare alle lumache domestiche, ecc..
Questi sono i pochi momenti in cui la tua parte William-Wallacesca esce per ribellarsi una volta per tutte alle pressioni delle tiranne madri...
- No, mamma ho da fare una cosa importante!
- Se non vieni ti cancello tutto!
- Ok, mamma... ( spegni il computer con faccia rassegnata)
Mission "Libertàààààà" failed, try later again.

4) : Shock da pagina bianca. Cosa normale ti dicono, ma si è presi dal panico più assoluto. Passa mezz'ora, niente. Un'ora niente. due, niente ancora.
Spegni tutto, depresso e incavolato. Di sera, sul divano a vedere Star Wars VI, illuminazione divina!
-TROVATOOO!!!!
Ti alzi e corri spasmodicamente al computer. La famiglia non ci fa caso, oramai è abituata a cose del genere. Inizi a scrivere tutto ciò che ti viene in mente, e finalmente ti rendi conto che sei arrivato a scrivere praticamente 3 capitoli.

5) : La fase del punto 4 dura poco. Perché? (musica truce horror..) Viene un altro blocco dello scrittore. Scoraggiato, cerci una morte rapida ed indolore, tu non sai come io sia afflitta in questi periodi!

6) : Arrivano i problemi di trama. Quali? Allora, sarà capitato a tutti di avere idee geniali, ma non sapendo come o dove o perché metterle. Facendo degli esempi ecco qualche traccia idea:
-Ridge doveva stare con Brooke.
-Brooke ama Anastasia.
- Arriva Tom Cruise.
-Mel Gibson e Tom Cruise fanno una rissa del genere “perhè-lo-stiamo-facendo?.”
 -Ridge sparisce con Anastasia, sotto acidi ovviamente.
-Spiderman vuole un twinky.
Una prima cosa che tutti fanno. Sì, anche TU l’hai fatto! E cosa sarebbe? Fare ”ambarabbaciccì-coccò” tra le tracce a caso. Esce fuori una cosa del tipo:

Arriva Tom C. e picchia Brooke, perché sta con Anastasia. Ridge si fa di acidi mentre si picchia con Mel Gibson. Spiderman vuole ancora il suo twinky.

7) : La fine. La traumatica fine. La fatidica fine. La fantomatica scritta F-I-N-E che sembra irraggiungibile e senza..fine.  provi e riprovi, invano, finchè l’ispirazione non viene dall’alto: ti cade un ragno nei capelli. ACH! No, seriamente un ragno ha appena sceso un muro vicino a me. Tenerello, era nero e piccolino! Coff-Coff!  Ritornando seri. L’ispirazione è arivata dall’alto: Spiderman m,angia il suo dannato twinky. Francamente non so nemmeno cosa sia un Twinky, ma suonava bene! Ecco, anche usare parole mai utilizzate prima è una cosa rischiosa, tipo : Meschino, balordo, malfattore, pendaglio da forca, accingersi,  ecc. ( le ho provate sulla mia pelle).

8) : Scegliere un titolo decente. Non ce la farai mai, tutti quelli più fighi che spaccano li hanno già ciulati tutti! E cerchi assolutamente di non mettere una cosa tipo: Tizio’s story, Le Cronache di Tizio, Le avventure di capitano Tizio, Tizio 1, Tizio 2 la vendetta, Trappola nei Ghiacci, Trappola nel Fuoco, Trappola nella Trappola.
Ti ridurrai a sceglierne uno tra questi, vedrai! Io mi sto già preparando psicologicamente, fai te! E’ un vicolo cieco che tutti prendono prima o poi. O scavalchi il muro davanti o ti viene una botta di… che si crea una scappatoia. Non succederà nessuna delle due, fidati, non c’è alcuna speranza!  Come disse il buon Dante: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate!”

 Fine.